Intervista a FRANCO PETTER
pubblicata sulla rivista Tutti Fotografi - gennaio 2008


Franco Petter fotografo nasce da studi di architettura, culminati con una tesi di laurea sui rapporti tra la luce e lo spazio. Ma aveva già capito che gli interessavano più le persone che gli edifici.

1. LA TUA FOTOGRAFIA TROVA ISPIRAZIONE DALLA LUCE, COSA E’ PER TE LA LUCE?

Considero la luce uno dei principali mezzi espressivi a disposizione di un fotografo. Per me l'essenza di una fotografia è l'impronta lasciata dalla luce su una superficie (che sia la pellicola o un sensore digitale non cambia molto). Quando fotografo una persona so che in realtà sto fotografando la luce che viene riflessa da quella persona, in termini fisici e metaforici, perché questo è il "materiale" con cui lavora un fotografo. La luce è tutto: può creare forme e atmosfere diverse, esiste la luce "beauty" che rende "belli" e luci che rendono "brutti". La luce è però un fatto tecnico: prima della tecnica viene lo sguardo, e lo sguardo di un fotografo va al di là della tecnica, è il modo in cui il fotografo "guarda" il soggetto a dare un senso a quello che fa.

2. CI SONO AUTORI DEL PASSATO CHE APPREZZI PARTICOLARMENTE?

Nel caso dei lavori sul corpo i miei punti di riferimento sono fotografi come Lazlo Moholy-Nagy, Man Ray e Erwin Blumenfeld, grandi sperimentatori del linguaggio fotografico; non a caso tutti e tre erano anche pittori oltre che fotografi. Al di là dell'aspetto tecnico, la cosa che mi ha sempre colpito è stato l'atteggiamento libero e consapevole con il quale volgevano il loro sguardo sul soggetto.
Sotto un altro punto di vista, sono stato colpito dalle opere della fotografa americana Diane Arbus per il suo modo di intendere il rapporto tra il fotografo e la persona da fotografare ("la macchina fotografica è un modo per dire: vorrei conoscerti, vorrei venire a casa tua e fotografarti"). Diane Arbus è una fotografa per la quale lo "sguardo" è decisamente più importante della "tecnica".

3. COME SEI RIUSCITO A RITAGLIARTI UNO SPAZIO IMPORTANTE NELLA FOTOGRAFIA PROFESSIONALE?

Un primo passo è stato quello di capire che, per realizzare determinate immagini, dovevo assolutamente diventare "un professionista". Se uno non è professionista certe foto non le può proprio scattare; tanto per fare un esempio, non può esistere un fotografo di moda "dilettante" dato che dovrebbe lavorare con modelle dilettanti, stilisti dilettanti, truccatori dilettanti e quindi la foto di moda si trasformerebbe in qualche altra cosa. All'inizio ho cercato di fare di tutto: i primi lavori veri e propri sono stati come fotografo di teatro, seguendo delle produzioni importanti, ho imparato tantissimo sia dagli attori che dai tecnici. Poi mi sono trasferito a Milano dove finalmente ho incontrato quel mondo professionale che cercavo: ho fatto l'assistente, ma nello stesso momento cercavo di fare anche le foto "mie", dato che facendo questo mestiere c'è il rischio di diventare un assistente a vita, soprattutto se lavori con un bravo fotografo. Poi, come sempre succede, le cose dipendono un po' dal caso; ho iniziato a lavorare per alcune riviste Mondadori, prima per piccoli servizi di moda, poi ritratti e foto di beauty. Alcuni contatti nel mondo della musica mi hanno portato a lavorare con le case discografiche. Non mi sono mai specializzato particolarmente, i lavori per me più significativi e divertenti hanno sempre a che fare con il mondo del ritratto creativo, quindi a cavallo tra il mondo della musica, dello spettacolo, del teatro.
Se oggi dovessi dare un consiglio a chi vuole iniziare, gli direi di muoversi il più possibile (in Europa e nel mondo) per conoscere quello che si altrove. Però è importante anche una buona scuola di fotografia.

4. RITRATTO MODA, BEAUTY: UNA FOTOGRAFIA DOVE LA PRESENZA UMANA E’ FONDAMENTALE: COME TI RELAZIONI CON I TUOI MODELLI DURANTE LE RIPRESE?

Esistano due modi fondamentalmente diversi per fotografare una persona: uno è il modo tipico della fotografia di beauty, e quasi sempre anche della fotografia di moda, in cui non si fotografa una "persona" ma una "modella". In questo caso la modella viene scelta facendo un casting, come uno degli "ingredienti" necessari alla fotografia, immagine di una bellezza ideale; se la modella non va bene, la si cambia con un'altra più adatta, come se si trattasse di cambiare l'obiettivo.

L'altro modo di fotografare è il modo tipico del ritratto, nel quale si tratta di rappresentare, di interpretare una determinata persona; in questo caso non si può dire che il soggetto non piace e cambiarlo. E' questo il bello del ritratto.

Sono due approcci completamente diversi, che sottendono due differenti concetti di "bellezza": da una parte la bellezza perfetta, a volte un po' anonima anche se raffinatissima, delle foto di beauty e di certe foto di moda. Dall'altra la bellezza completamente diversa delle persone vere: nessuno al mondo è uguale ad un altro e il compito del fotografo (se vuole) è proprio quello di scoprire e lavorare con questa "unicità". Poi ci sono delle situazioni interessanti come i ritratti in cui si mescola la ricerca della bellezza con la personalità del personaggio ed il risultato può essere molto efficace.
Personalmente preferisco il ritratto alle persone e far emergere la loro personalità; è in questo modo che la fotografia diventa interessante, che inizia a raccontare qualcosa di diverso da tutte le altre. Credo comunque che per riuscire in questo genere fotografico si debbano conoscere bene sia le tecniche della fotografia "di bellezza" che quelle della fotografia "di ritratto"; in effetti, i più grandi fotografi di moda, come ad esempio Richard Avedon, sono anche stati grandi ritrattisti.

5. ORAMAI SCATTARE IN DIGITALE NELLA FOTOGRAFIA PROFESSIONALE SEMBRA DIVENTATO UN OBBLIGO: QUALI SONO GLI STRUMENTI CHE UTILIZZI?

Anche se ho passato anni in camera oscura con tank e bacinelle, non mi è molto dispiaciuto il passaggio al digitale. Un po' perché avevo già fatto delle esperienze video, quindi con l'immagine elettronica, un po' perché secondo me l'essenza di una foto è l'impronta lasciata dalla luce, e non cambia se l'impronta viene lasciata su una pellicola o su un sensore. Apprezzo molto la comodità del digitale (per esempio, non occorre più scattare polaroid per controllare luce e inquadratura, quei famosi lunghissimi 60 secondi in cui tutti aspettavano di vedere la prima immagine del servizio...), ma ovviamente come ogni tecnica il digitale ha le sue caratteristiche e rispetto alla pellicola è ancora una tecnica giovane. Se pensiamo che solo da pochissimo tempo sono usciti dei programmi professionali come Aperture o Lightroom, ci rendiamo conto di quanta strada ci sarà da percorrere in questo campo. Al momento sto usando una reflex Fuji (di cui mi piace il sensore e la costruzione professionale) e un portatile Mac; anche se ho imparato a controllare l'esposizione con l'istogramma in macchina, mi porto sempre dietro il vecchio esposimetro Minolta perché a volte è utile nella "costruzione" della luce sul set.

6. E PER LE LUCI COSA UTILIZZI: FLASH O CONTINUA?

In studio in genere preferisco i flash, purchè siano professionali e dotati di lampada pilota: per me è importantissimo "vedere" la luce prima di scattare. Un'altra cosa che mi piace dei flash è la quantità di accessori che si possono usare, ed in particolare le "griglie" che controllano la luce; mi piace la luce un po' morbida e concentrata dei piccoli bank sui quali viene montata una griglia a rendere direzionale la luce.

In location uso spesso la luce ambiente; in questi casi uso obbiettivi fissi e luminosi che vanno benissimo con poca luce, anche in digitale.

7. NEI TUOI LAVORI NOTIAMO ANCORA UNA IMPORTANTE PRESENZA DEL BIANCONERO. QUALE SIGNIFICATO HA PER TE?

Il bianconero fa parte di un progetto e serve a creare un particolare personaggio o una determinata atmosfera, introducendo un "filtro" con la realtà; per esempio nella foto di ritratto o di nudo i toni di grigio con cui è restituito il colore della pelle permettono di valorizzare le forme andando oltre il soggetto reale. Nel bianconero uso in genere luci che "modellano" il corpo, sottolineando l'aspetto grafico delle immagini

8. SCATTI DIRETTAMENTE IN BIANCONERO, OPPURE A COLORI PER POI FARE LA CONVERSIONE?

Se un progetto fotografico è in bianconero occorre pensare l'immagine in bianconero, ed è così che preferisco scattare. All'inizio pensavo che il risultato fosse anche tecnicamente migliore, ma non è così. Scattare in bianconero è solo una scelta di tipo creativo, in quanto permette di verificare le tonalità sul display della macchina, i contrasti di illuminazione, la composizione e le forme.Attualmente scatto in Raw, ma tengo ugualmente l'anteprima bianconero sul display.

9. LE TECNICHE PER CONVERTIRE UNA IMMAGINE A COLORI IN BIANCONERO SONO DIVERSE; TU QUALE USI?

Ho provato molti metodi non ne ho uno superiore in assoluto; trovo interessante il "mixer di canali" di Photoshop e i vari plug-in, perchè permettono di decidere selettivamente quale colore trasformare in un particolare tono di grigio. I plug-in che simulano la resa tonale di determinate pellicole bianconero non li ho trovati particolarmente utili. Più interessante è la possibilità di "filtrare" il bianco e nero per scurire o schiarire il tono della pelle rispetto come si fa con la pellicola. Lavorando con i file RAW trovo molto interessante il comando Grayscale Mix di Lightroom, anche se non lo conosco ancora a fondo; di Lightroom mi piace molto la possibilità di creare e importare dei pre-set, cioè delle combinazioni di regolazioni che possono riguardare sia la resa tonale che la morbidezza dei dettagli.
A volte in Photoshop mi capita di dover "tirare fuori i neri" come si faceva con l'ingranditore, aumentando la luminosità di un'area troppo scura. In questi casi cerco di lavorare nel modo più "manuale" possibile: seleziono l'area da schiarire con una certa dissolvenza ai bordi, poi la schiarisco regolando i livelli. Ho trovato molto utile, per il controllo dei toni, anche il comando "luci e ombre", a patto di non esagerare con le regolazioni.
Se poi le immagini sono destinate alla stampa, quando posso seguo sempre il solito vecchio sistema di fare una prova di stampa e poi correggerla.

10. PERCHE’ SCEGLI DI LAVORARE IN BIANCO E NERO PIUTTOSTO CHE A COLORI, O VICEVERSA?


A volte è un imput preciso da parte del cliente, per esempio una immagin per un libro sui massaggi o per una rivista di bellezza dovrà essere quasi sempre a colori; invece la scelta del bianconero, o di una staratura consapevole dei colori, parte proprio dalla volontà di staccarsi dal risultato "normale" per creare una distanza tra la realtà e l'immagine finale.
Io penso che ogni fotografia, in un modo o nell'altro, "menta", nel senso che non è uno specchio fedele della realtà, e lascia grandi margini di interpretazione o deformazione: il bianconero o di colori starati (come per esempio la dominante blu dovuta ad un "errato" bilanciamento del colore) sono strumenti di interpretazione, e questo è molto interessante per me.

11. TI OCCUPI PERSONALMENTE DELLA POST PRODUZIONE DEI TUOI SCATTI?

Di solito si, ci tengo perché ho bisogno di tenere sotto controllo l'immagine durante l'intero processo. Però ho imparato moltissimo lavorando in post-produzione insieme ai truccatori con cui avevo realizzato le immagini; a volte mi capita di coinvolgere nella post produzione anche la persona fotografata, se si tratta di un ritratto. In questi casi i tempi diventano inevitabilmente più lunghi, ma il lavoro finale è sicuramente più interessante.

12. IL FOTORITOCCO OFFRE UNA GRANDE LIBERTA' DI ELABORAZIONE DEI FILE, MA MOLTI SONO CONTRARI. COSA NE PENSI?

A me piace considerare la fotografia come una "impronta" della realtà, nel senso che quando fotografo una persona mi piace che nella fotografia si ritrovi qualcosa che appartiene a "quella" persona, non ad un disegno. Credo che nessun ritocco possa creare dal nulla una certa espressione degli occhi o un certo movimento "imprevedibile", proprio perché essendo imprevedibile a volte viene colto dalla macchina fotografica senza che il fotografo se ne renda conto. Diane Arbus diceva: "Non si mette in una fotografia quello che verrà fuori. E viceversa, quello che viene fuori non è quello che vi si mette". Da questo punto di vista, il ritocco è sempre qualcosa che tende ad allontanarsi dal carattere "fotografico" di una immagine e a farla diventare qualcosa di diverso, è un atto arbitrario. Non si tratta di far apparire "diversa" la foto rispetto alla realtà, perché la stessa cosa la fanno anche il bianconero, l'esposizione, la stampa, gli obbiettivi, le tecniche di ripresa. Il problema è che con il fotoritocco si rischia varcare il "limite" tra quello che è una "impronta" e quello che non lo è più.

E' un discorso molto concettuale, ma che diventa molto reale quando si lavora ad una immagine: è facilissimo togliere i difetti della pelle "lisciandola" perfettamente, però oggi qualsiasi ragazzino di fronte ad una tale immagine capisce che è "photoshoppata" e la interpreta come falsa, alterata. Per evitare che questo accada occorre che nel ritocco si tolgano magari i difetti alla pelle, ma che venga lasciata la struttura della pelle, i pori. La stessa cosa avviene rispetto all'uso del famigerato filtro "Liquify" di Photoshop, solo che in questo caso sono di meno le persone che ne conoscono la potenza e la capacità di alterare le forme un corpo o di un viso; anche in questo è però facilissimo superare il "limite", e creare delle forme che non sono più umane.
Quindi non è che io rifiuti il fotoritocco, anzi spesso lo uso, ma credo che occorra riflettere su questo "limite" tra un'immagine fotografica, quindi in qualche modo reale, e immagine "virtuale", ricreata. E questo limite ha significati diversi a seconda che si tratti di una immagine di reportage, di pubblicità o di ritratto, dato che la funzione di queste immagini è diversa; si pensi ad esempio che il fotoritocco può diventare punibile per legge se si ritocca la fotografia su una carta di identà.

13. QUALI STRUMENTI, HARDWARE E SOFTWARE, USI NORMALMENTE, E QUALI CARATTERISTICHE DEVONO AVERE PER RISPONDERE ALLE TUE NECESSITA’?

Da tempo uso un portatile Mac, il più piccolo e leggero possibile dato che spesso lo devo portare in giro insieme al resto dell'attrezzatura. Come software uso i normali programmi professionali, ma cerco di usarli nel modo più "manuale" possibile; odio quando un programma tende a decidere al posto mio quello che è meglio fare. La stessa cosa vale per la macchina fotografica: la uso quasi sempre in manuale, impostando tempo e diaframma come ai vecchi tempi (tra l'altro, lavorando in studio con delle luci un po' complesse, credo che non si possa fare diversamente). Tendo anche ad usare la messa a fuoco manuale, anche se riconosco che l'autofocus è utilissimo. Insomma, la tecnologia mi piace purchè mi permetta di fare quello che voglio io; al limite preferisco sbagliare, ma deve essere una scelta consapevole.

14. COME GESTISCI L'ARCHIVIO?

La mia regola è di non avere mai, in nessun momento della fase della lavorazione, una sola copia delle immagini e archivio le immagini su DVD sempre in doppia copia. Per la gestione dell'archivio non uso particolari sistemi di ricerca.

17. NELL’IMMAGINARIO COLLETTIVO ESISTE TUTTORA LA FIGURA IDEALIZZATA DEL FOTOGRAFO. MA E' PROPRIO QUESTA LA REALTA'?

In effetti molti immaginano ancora il fotografo sempre in mezzo alle modelle, ai soldi e alla bella vita; un po' come nel film "Blow Up" di Antonioni.

La realtà è più varia; ci sono anche questi fotografi, ma sono quelli arrivati al grande successo, si pensi al mondo della moda. Quelli bravi però sanno che ci sono cose più importanti della bella vita e delle belle donne; David La Chapelle, forse in questo momento il fotografo più famoso, ha deciso di girare a sue spese un film indipendente sui ragazzi nei ghetti neri di Los Angeles, "Rize", un film secondo me bellissimo.

Io amo il mestiere di fotografo perché realizzare immagini è bello, ma se lo fai per vivere non è semplice. Spesso occorre scegliere "quanto" e "come" rischiare: se organizzo tutto alla perfezione sono un bravo e affidabile professionista, ma a volte, per ottenere una buona foto, bisogna lasciare da parte le sicurezze e cercare anche l'imprevedibile. Allora ogni foto diventa una sfida, non sai mai quale potrà essere il risultato. Ecco, un bravo fotografo deve essere un professionista affidabile e nello stesso tempo non deve fermarsi, deve sperimentare, non accontentarsi mai.




Intervista realizzata a cura di Erminio Annunzi, fotografo e critico, per la rivista "Tutti Fotografi" edizioni Progresso - Italy 2008